Ma chi si interessa seriamente di fotografia può testimoniare quanto l’Italia sia luogo fertile per schiere di giovani fotoreporter che hanno freschezza e personalità, oltre che forti doti autoriali. Caratteristiche fondamentali che consentono di emergere all’interno del panorama mondiale.
Uno stile asciutto ma denso di significato, svincolato dalla ruggine stantia del classico reportage, unito ad una ricerca meticolosa di storie nascoste ma necessarie da raccontare, ne hanno decretato il successo.
Sono riuscito ad intercettare Mattia nel bel mezzo di una delle sue trasferte di lavoro all’estero, ed è stato molto disponibile tanto da trovare il tempo per uno schietto scambio di battute attorno al suo lavoro.
Qual è la tua personale storia della fotografia?
Ho iniziato a scattare in pellicola nel 1998, il primo anno di università, avevo la mia camera oscura e amavo moltissimo il lato artigianale di questa professione.Nel 2006 ho iniziato a lavorare come professionista in cronaca al Corriere di Como e dopo meno di un anno ho iniziato a collaborare quotidianamente con il Corriere della Sera dove per i successivi dieci anni mi sono occupato prevalentemente di cronaca nera e politica. Da quattro anni sono freelance.
Quanto e come i tuoi studi hanno formato la tua visione fotografica?
Sono laureato in Scienze della Comunicazione, direi che sicuramente gli studi umanistici sono una buona base per chi si vuole occupare di giornalismo. Ho una specializzazione in cinema e giornalismo e l’aspetto che ha influenzato maggiormente la mia visione credo sia la smisurata passione per il cinema.
Stai girando il mondo grazie alla fotografia, ma molto spesso dimentichiamo le innumerevoli storie che meritano di essere raccontate proprio accanto a noi. Come nel caso del progetto che ti ha aperto le porte al pubblico europeo: “A Winter’s Tale“. Ti aspettavi tanto successo? Con che spirito rivedi oggi quelle immagini?
Nell’ultimo anno ho preso 24 aerei e sto viaggiando parecchio, ma sono anche io convinto che non sia necessario andare in luoghi esotici per realizzare storie interessanti.
In realtà questa cosa l’ho imparata presto perché anche il primo progetto indipendente di successo che ho realizzato era scattato in Italia, in Sardegna e ha vinto un Sony Award e sicuramente è il mio lavoro più premiato. Il lavoro sul carnevale di Schignano è il mio long term project e sta continuando senza sosta da dieci anni.
È nato con l’ idea di realizzare il libro che ho pubblicato nel 2014 dopo i primi quattro anni di lavoro, ma non ho mai smesso di portare avanti questa storia anche perché da qualche anno riesco regolarmente ad ottenere assignments da riviste estere che mi permettono di continuare a lavorarci. Non mi aspettavo assolutamente un simile successo, è uscito dai circuiti classici del fotogiornalismo, è stato esposto in tutto il mondo, anche alla Biennale d’arte di Kaunas e il lavoro oggi si è evoluto molto rispetto all’editing del libro.
Altro progetto di assoluto valore è “Confine” che racconta storie di immigrazione. Momenti delicati e drammatici, avvenuti in una città “transito” verso mete più a nord, ma che di fatto si è dimostrata un muro. Ce ne vuoi parlare?
Nel luglio del 2016 quando, bloccato il confine del Brennero, chiusa Ventimiglia, Como ha riscoperto di trovarsi in mezzo a due confini e di essere territorio di passaggio verso il Nord Europa.
Da quell’estate Como è tornata a essere confine a tutti gli effetti, e un confine vero. Respinti dalla frontiera sigillata (e protetta da un drone con sensori di rilevamento del calore) della Svizzera nell’intento di andare in Germania o ancora più a Nord, centinaia di migranti si sono ritrovati bloccati nella stazione di Como S. Giovanni e nel suo parco, rimbalzati indietro lungo il loro tragitto. Nel corso di quelle settimane la popolazione del campo è cresciuta fino a raggiungere le cinquecento unità e la stazione e il suo parco sono diventate un campo profughi lungo un confine identico a quelli che Como riteneva distanti e alieni. I migranti hanno portato a Como il reale del nostro contemporaneo e questo libro vuole dare forma a quella testimonianza: non è un photobook classicamente inteso, né un prodotto giornalistico classicamente inteso. La sua genesi è stata collettiva e il crowdfunding che ha portato alla sua realizzazione è la continuazione di quella “narrazione collettiva” contenuta nelle sue immagini, nei suoi testi e nel suo progetto grafico.
Non è l’unica possibilità, esistono ancora editori seri, ma la situazione del settore fa si che sia molto più semplice e immediato realizzare un libro in self-publishing e che sia l’unico modo che ha l’autore di mantenere il totale controllo editoriale sull’opera.
La mia esperienza è decisamente positiva, Confine è andato esaurito in meno di un anno, A Winter’s tale aveva una tiratura importante e me ne rimangono solamente un centinaio di copie. E’ evidente comunque che non ci si arricchisca con i libri fotografici e che il lavoro di produzione, promozione, distribuzione sia lungo e complesso, ma amo i libri, soprattutto i photobooks autoprodotti e A winter’s tale oltre ad aver spinto il lavoro sul carnevale in modo impensabile mi ha dato soddisfazioni incredibili se penso alle collezioni, musei, bookshop, festival in cui è presente.
Attualmente lavori per l’agenzia Prospekt Photographers, che conta fra le proprie fila fotografi pluripremiati e che si occupa di progetti fotografici a lungo termine. Quanto è importante per un fotografo trovare dei partner che credono nel tuo lavoro e ne valorizzano la tua visione?
Lo scorso anno con il Corriere della Sera abbiamo realizzato il progetto “ 100 giorni in Europa” una serie di 30 reportage web doc dai 28 paesi membri in vista delle elezioni europee, ed è un metodo di lavoro che ci interessa molto portare avanti.
Nella monografia su Berlino di The Passenger, periodico edito da Iperborea che si occupa di viaggi in una prospettiva differente dal resto dell’editoria, fanno capolino le tue immagini. Un matrimonio davvero riuscito. L’idea già ottima di affrontare temi sociali, politici, culturali si sposa felicemente con un lavoro autoriale che ne sottolinea l’esclusività. Ce ne vuoi parlare?
Ti ringrazio! A questo progetto tengo molto perché sono da sempre un fan della casa editrice Iperborea e perché Berlino è la città che amo e nella quale vorrei vivere. The Passenger è un prodotto editoriale curatissimo in ogni aspetto e i testi sono di livello molto elevato come la grafica, le illustrazioni e a breve uscirà anche l’ edizione internazionale in inglese distribuita in tutto il mondo.
Parliamo di concorsi. Uno dei più famosi al mondo ha dato una severa stretta ai regolamenti per via di qualche inciampo avvenuto nelle ultime edizioni. Qual è secondo te il margine interpretativo del reportage?
Come vedi la situazione fotografica in Italia?
Qual è il reportage a cui sei più legato e perché?
A cosa stai lavorando in questo momento?
Potete seguire il lavoro di Mattia Vacca a questi link:
Mirko Bonfanti